martedì 14 febbraio 2012

Le nostre origini: cosce di rane fritte

Spesso tra queste righe si parla di viaggi, più o meno lontani. Oggi voglio presentarvene uno vicino vicino, ma tanto essenziale e profondo da non lasciarci mai: il viaggio nelle nostre origini. Le nostre radici non ci abbandonano mai; possiamo distanziarle, fare uno scatto e sperare di averle seminate; ma poi ci giriamo ed eccole là, di fronte a noi. Perché loro sono noi; è quanto di più intimo e bello ci porteremo dietro sempre, ed anche quando possa sembrare che di bello e poetico ci sia poco e niente, a guardar bene scoviamo sempre qualche momento, qualche luogo, qualche profumo, qualche viso del nostro passato, che al ripensarci vengono le farfalle nello stomaco.
E così tutti possiamo attingere ad un pozzo inesauribile di tradizioni, siano esse storiche, fantastiche, e perché no, culinarie. Il patrimonio culinario di ogni terra è tanto personale quanto un vero patrimonio genetico: porta con sé il segno indelebile di quei luoghi, di quelle persone; ciò che hanno fatto, ciò per cui hanno lottato; ciò che li aiutati ad essere quel che sono. In molti dicono che il popolo ligure, come il sardo, sia un popolo chiuso, aspro. Mi è capitato di piantare patate nelle terrazze del savonese, e poi, ovviamente, di raccoglierle. Quando si passa la vita a strappare al dorso di una montagna la sussistenza, capita che il carattere indurisca; ho attraversato la Gallura in treno, in mezzo a pastori deleddiani che parlano dalla mattina alla sera con le loro pecore ed con il vento. E' quasi logico che finiscano col fidarsi più di loro che degli uomini.
Nettuno, Forte Sangallo e Borgo medievale dal mare
Tutti veniamo da qualche parte, e in cucina possiamo scoprirlo meglio. Io, per esempio, sono di Nettuno, ultimo comune a sud della provincia di Roma, solo 15 km da Latina, e di conseguenza ultima propaggine nord di quelle che furono le Paludi Pontine. Nettuno presenta un'anomalia culinaria importantissima: città di mare con pochissimo pesce, quasi sempre povero, all'interno dei suoi menù. E' la terra, contadina e di caccia che la fa da padrona a tavola; il pesce, quello buono, lo lasciamo alla vicina Anzio. E allora, ecco che scorrendo menù di antiche trattorie appaiono piccioni, quaglie, fagiani, abbacchio, insieme a cereali (Nettuno era definita nel Medioevo "il granaio del Lazio"), e ogni tanto, timidamente, il baccalà e le alici, unici testimoni del mar Tirreno. Menù di inizio secolo parlano anche di pasta  e ceci con le vongole.
Ma sopra ogni ricetta regnano le rane, piatto nettunese caratteristico, che ci ha meritato il soprannome di "ranocchiari".
Torre Astura, costruita su antiche peschiere romane
Un tempo le terre di Nettuno erano ricche di acquitrini, i canali ed il fiume Loricina ('o fiumitto) non erano inquinati, e le rane, estremamente sensibili all'inquinamento per la loro pelle sottilissima abbondavano ovunque. Era quasi scontato che diventassero piatto tradizionale!
Ingresso nord del Borgo 
Lo so che fanno impressione ai più, anche a me da piccolo facevano un pò senso, sopratutto quando le vedevo vendere in piazza del Mercato, infilzate in cannucce e messe dentro un secchio. Ma poi, al primo assaggio, si resta stupiti: vagamente somigliante al pollo, la carne di rana è molto più delicata nel sapore, e si dice sia estremamente nutriente. Se riuscirete ad assaggiarla, vedrete che vi resterà nella mente e nel cuore! Il problema oggi, paradossalmentte, è proprio trovare le rane: l'inquinamento le ha praticamente distrutte ovunque, e poi pescarle e...prepararle magari è per stomaci forti. Si possono trovare ai surgelati, valida alternativa, belle coscette già pronte, solo da cucinare.
Il Cacchione, vino nettunese Doc
Ci sono molte ricette per cucinare le cosce di rana, ho anche trovato un bel sito su cui ci sono idee (e dal quale ho preso le foto culinarie), ma io vi presento la ricetta tradizionale nettunese, le cosce di rana frittedorate, da mangiare caldissime magari con un bel bicchierozzo di vino Cacchione doc, altro orgoglio nettunese. Vediamo allora come è semplice prepararle:

Ingredienti:

circa 100/120 gr di cosce di rana a persona;
Uova;
Olio


Preparazione:

Ovviamente non dovrei neanche scriverla, è una classica "frittadorata".
Iniziamo comunque con lo sciacquare bene le cosce di rana sotto acqua fredda. Se le rane sono fresche (il gusto ovviamente ne guadagna), potete lasciarle a mollo nell'acqua fredda per 2/3 ore, finché la carne non sia sbiancata. Terminato il lavaggio asciugatele benissimo con carta da cucina.
Sbattete in una terrina le uova con una forchetta e salate.
Immergete le cosce di rana prima nell''uovo sbattuto e poi nella farina, e dopo aver levato la farina in eccesso friggete in olio bollente fino alla doratura.
Salate e mangiate caldissime.

Il piatto è pronto, tutto qua! Servendolo con della valeriana appena condita con olio leggero, sarete sicuri che nessun sapore nasconderà la delicatezza della carne di rana.
Un piatto semplice, gustoso, sfizioso, che riporta ai tempi di un'Italia contadina, dove la spesa si faceva pe campi e stagni.

Buon appetito!


ps: Se passate per Nettuno, non vi dimenticate di cercare il Paw Paw, raggae club bellissimo all'interno del Borgo medievale. Ah, sì, Diego, il proprietario, è mio fratello...


Tramonto sul porto turistico

Via Stefano Porcari, nel Borgo.
Il lampione giallo in fondo è l'ingresso del Paw Paw

Le foto di Nettuno sono prese dal sito della Pro Loco

1 commento:

  1. eccomi in questo simpatico spazio... bellissimi posti e spiegati con amore, mi piace... anche le rane fritte... nella bassa piemontese erano un piatto tradizionale (RISAIE... ^^) un piattino da re ... bravissimo !!!

    RispondiElimina