mercoledì 29 febbraio 2012

Il Camino de Santiago e la sua zuppa classica: il Caldo Gallego.



Un paio di post fa vi parlavo del Cammino di Francesco, il percorso naturalistico-spirituale che collega i quattro santuari della Valle Santa di Rieti, che si può percorrere in 4/5 giorni ospitati nei conventi o in Bed and Breakfast.
Giustamente, Tiziana di Pecorella di Marzapane (blog bellissimo, dateci un'occhiata!) ha detto che il suo desiderio sarebbe il Cammino con la "C" maiuscola, il meraviglioso Camino de Santiago.
Per quelle 3/4 persone che non sanno di cosa si stia parlando, posso dire in soldoni che è uno dei tre pellegrinaggi classici della storia, insieme a Gerusalemme e a Roma; un percorso medievale che portava i penitenti sulla tomba dell'apostolo Giacomo (el santo Jago, Santiago, appunto) dopo 800 km abbondanti. Il Camino, dopo un periodo di relativo calo, vive in questi ultimi anni una riscoperta, grazie anche a Giovanni Paolo II che qui organizzò la GMG del 1989. Ha tre percorsi principali, uno che raggiunge Santiago de Compostela dal nord, parallelamente alla costa; un secondo lungo la costa portoghese; ed il più famoso, il cosidetto Camino francese, che attraversa la Spagna quasi da una costa all'altra, partendo da St. Jean Pied de Port, e camminando praticamente parallelo ai Pirenei. Non ci sono scadenze fisse, ci si può mettere tutto il tempo che si vuole. Si possono percorrere anche tratti minori rispetto agli interi 800 km, ma per avere la Compostela, il certificato di avvenuto pellegrinaggio, bisogna aver percorso almeno 100 km a piedi o 200 a cavallo!
Il gruppo arrivato a Ponferrada, la nostra partenza
Perché parlo di Santiago sul mio FoodBlog? Perchè con un confratello ed un gruppetto di amici ho fatto 12 giorni di cammino nell'estate del 2008.  E' un'esperienza unica, una metafora della vita, con le sue fatiche, le sue cadute, il bisogno di ritrovare energie per ripartire. La mèta c'è, lo sappiamo, eppure ogni giorno, ogni mattina (le giornate, soprattutto d'estate, iniziano massimo alle 4.30 per non sentire troppo caldo) bisogna ricordare qual è la destinazione, e quali sono le motivazioni che spingono ognuno su questo percorso. Ogni persona che si incontra sul Camino, almeno chi ancora lo fa per i motivi reali e non per sport, porta con sé un bagaglio di dolore e di speranza; si massacra i piedi e le gambe per portare all'Apostolo la sua richiesta, il suo ringraziamento. E' faticoso, di una fatica che mai avrei pensato di poter sperimentare. Si dorme ospiti in ostelli attrezzati apposta, ma non si può stare lì per più di una notte, salve rarissime eccezioni. Il Camino è dunque movimento, sempre, in ogni condizione. 
La destinazione e il conto alla rovescia
Noi, in cammino
Ogni giorno si attende la sosta per il meritato riposo, ed ogni giorno, e qui c'è il mio aggancio, ci si ferma in qualche bar per un bocadillo (un panino) col jambon, o meglio ancora, per un menu del dìa, il menù del giorno, che ti permette con pochissimi euro di mangiare primo, secondo e contorno, e recuperare un pò. Uno dei piatti caratteristici è quello che vi presento oggi, questa zuppa fantastica, tipica della Galizia ma che si trova anche prima degli ultimi 100 km. E' una zuppa molto consistente, come potete leggere, ma anche economica, perchè fatta sopratutto con scarti di maiale. La si trova dappertutto, e nelle serate molto fredde (spesso l'escursione termica è forte, o a volte si salgono delle montagne e la notte fa freddo) è un toccasana che almeno scalda da dentro.

Al freddo, ma col Caldo Gallego!

Amiche!!!

L'ingresso in Galizia

'O Cebreiro, il più bel villeggio visitato
Notte a 'O Cebreiro
Vi posto la ricetta come la leggo dal grembiule, dalla "parananza" che i miei compagni di viaggio mi hanno regalato al termine del Cammino.

Il problema, ovviamente, sono gli ingredienti: sulla mia "parananza" gli ingredienti principali risultano essere la carne di maiale salata e il lacòn, una parte del maiale che da noi si usa per lo zampone. Possiamo sostituire la carne di maiale salata con "semplici" costarelle di maiale; per il lacòn invece, la parte finale del gambuccio san Daniele sembra sia una degna sostituzione;  meglio poi se è con l'osso, che in molte delle ricette originali è segnato proprio come ingrediente a parte.
Le loro cime di rapa, la verdura base di questa ricetta, mi sembravano identiche alle nostre. Per il chorizo (tipico insaccato speziato) non ci sono sostituzioni, quindi o provate a cercarlo (spesso, paradossalmente si può trovare in qualche discount che ha cose più internazionali), o lo comprate cliccando qui o qui (pubblicità gratuita, eh...); o meglio ancora ve lo fate portare da qualcuno che va in vacanza in Spagna, che, voglio dire, non è la Scandinavia!

I prodotti locali
Ingredienti per 6 persone:
500 grammi di gambuccio (ottimo il san Daniele quando sta per finire, con tutto l'osso)
400 grammi di costarelle di maiale
50 grammi di lardo, o anche di pancetta steccata
400 grammi di chorizo
4/6 patate
500 grammi di cime di rapa
250 grammi di fagioli secchi
250 grammi di fave secche
sale e pepe.

Preparazione:

In una pentola cuocete il gambuccio in abbondante acqua; ci vorranno almeno un paio d'ore, dipende dalle dimensioni. Regolatevi sentendo la consistenza con una forchetta dopo questo periodo. E' meglio se prima della  cottura, lo fate dissalare in acqua fredda per qualche ora, cambiando un paio di volte l'acqua. Io l'ho fatto e la zuppa era comunque molto saporita. Dopo circa un'oretta aggiungete a questo brodo iniziale le costarelle di maiale. 
Quando le carni saranno cotte, levatele dal brodo e tenetele da parte. Schiumate il brodo se è troppo grasso.
Intanto in un'altra pentola, dopo la solita nottata di ammollo, fate cuocere in acqua fredda i legumi. 
Quando saranno pronti, scolate i legumi, fate ridurre l'acqua di cottura e aggiungetela al brodo di carne. 
In questo brodo mettete a cuocere le patate fatte a dadini, il chorizo a pezzi e il lardo o la pancetta. Ci vorrà mezz'ora circa di cottura.
Dopo i primi 10 minuti aggiungete le cime di rapa, germogli inclusi.
Quando anche questi ingredienti sono cotti, potete assemblare la zuppa, servendola in scodelle di coccio con parti di prosciutto, di costarelle, il chorizo e le verdure.
Quello che avanza potete servirlo a parte.

Ecco qua, sembra laboriosa ma è una ricetta molto semplice, solo un pò lunghetta. 
Questo Blog sta prendendo una piega strana, ma mi piace che sia così. Perciò anche questa volta vi posto qualche foto del Camino, e non quelle della ricetta che in realtà non preparo da un pò.  Forse i miei compagni di Camino mi odieranno, ma siamo noi, autentici e devastati in ogni foto!

Colazione sostanziosa prima della partenza!
Io e la nebbia mattutina sui monti...
La gente, impietosita, ci sfama nei villaggi
Gli ultimi 100!


Si scende dai monti

Come i baraccati, con la pasta liofilizzata...
I pentoloni di rame nella più antica Pulperia di Galizia

Ingresso a Santiago!
Ce l'abbiamo fatta!

Ci sarebbe molto altro da dire, soprattutto culinariamente. Credo ci sarà prima poi bisogno di un post Santiago/2, almeno per parlarvi della nostra Sagra del "Bollo prenado" a Villafranca, o del famosissimo "pulpo gallego", che abbiamo inseguito, ma alla fine ggustato solo a Santiago. Sarà per le prossime puntate...
Buon appetito!

domenica 26 febbraio 2012

Cipolline in agrodolce con confettura di zenzero


Complici due confezioni di cipolline borettane già pulite trovate nel frigorifero (e che neanche ricordavo di aver comprato), per stasera ho cucinato questo piatto delizioso. E semplice e veloce, e per non farmi troppo abituare a post lunghi e poetici, stavolta vi beccate la ricetta nuda e cruda (che gioco di parole banale...).
Il tocco di poesia c'è comunque, perché stavolta le ho fatte con una variante rispetto alla mia ricetta usuale: la mia amica Yrma di Afiammadolce (avete già visitato il suo bellissimo blog?), commentando i miei quadrucci coi piselli, mi ha suggerito di uccidere il raffreddore con tisane allo zenzero. Io, che sono un bambino e mi fisso per tutto, ho iniziato a sognare e odorare lo zenzero ovunque, ma a casa ho trovato solo una meravigliosa confettura di zenzero. E allora, presto detto: le mie cipolline borettane in agrodolce, che solitamente preparo con la confettura di albicocche, sono state modificate. Che zenzero sia! Le mangeremo per cena, ma ovviamente le ho già assaggiate: funziona tutto alla perfezione! L'aroma leggermente piccante dello zenzero incontra perfettamente la cipollina. Allora, ecco come preparare questa ricetta, e in mezz'ora, fare un figurone con chiunque:


Ingredienti per 6/8 persone:

600 gr di cipolline borettane (io le ho comprate già pelate, e non è poco!)
2 cucchiai di confettura di zenzero
1/2 bicchiere di aceto balsamico
1 cucchiaio di miele d'acacia
1 bicchiere d'acqua calda
sale e pepe.


Preparazione:

Iniziate facendo dorare le cipolline in olio evo, in una padella abbastanza larga da contenerle tutte in uno strato.

Quando sono colorite, aggiungete la confettura di zenzero; aspettate che si sciolga e fate insaporire per un pò le cipolline.


A questo punto aggiungete il mezzo bicchiere di aceto balsamico in cui avrete sciolto il miele. dopo un paio di minuti aggiungete il bicchiere d'acqua calda, salate e portate a cottura in circa venti minuti.


Prima di servire correggete di sale se serve e spolverate di pepe nero macinato al momento.

Le vostre cipolline sono pronte, ottime per accompagnare arrosti o carni a lunga cottura, ma eccezionali anche con formaggi, per i quali la confettura fa da ponte perfettamente.

Io utilizzo spesso le confetture per accoppiamenti culinari poco usati dalle mie parti. Per esempio l'altro giorno abbiamo mangiato le classiche pepite di pollo fritte. C'erano amici ospiti, tutto molto informale, e per rendere le pepite meno...scontate, le ho servite con delle ciotoline di confettura di lamponi. Eccezionali!
Provate e fatemi sapere.

Quadrucci coi piselli



Il Terminillo da Fontecolombo
Ho passato due giorni nella bellissima valle reatina, valle detta Santa per la presenza di san Francesco, che qui ha passato molto tempo della sua vita, abitando in particolare quattro luoghi che sono tutt'oggi quattro dei più bei santuari francescani che potrete mai visitare. Si pensa troppo spesso che per respirare il francescanesimo e la pace, bisogna andare ad Assisi; questi santuari attorno a Rieti, ai piedi del Terminillo e a poco più di un'ora di macchina da Roma, sono non solo una valida alternativa, ma costituiscono pagine di memoria francescana bellissime. Il santuario di Poggio Bustone, dove san Francesco ha ricevuto da un angelo l'assicurazione del perdono
Il cimitero di Fontecolombo
dei suoi peccati; il santuario della Foresta, dove ha alloggiato malato ospite del sacerdote del luogo; il più famoso, Greccio, dove nel Natale del 1223, per vedere con i suoi occhi la povertà in cui nacque Cristo, ha realizzato la prima  riproduzione vivente di quello che poi, dalla storia, verrà ricordato come il presepe; e, ultimo ma per me il più bello, il santuario di Fontecolombo, dove Francesco scrisse la regola di vita che è ancora oggi la regola di noi frati. Sono posti che vale la pena visitare, credetemi, sia spiritualmente che turisticamente; posti che  ancora parlano di una semplicità e genuinità di vita che fece innamorare Francesco. Per i più coraggiosi, non che sia poi una faticaccia, i quattro santuari sono collegati da un percorso che si fa a piedi in quattro giorni, uno per ogni santuario, con la possibilità di essere ospitati dai frati nei conventi: il Cammino di Francesco. Io l'ho fatto e vi assicuro che si attraversano luoghi meravigliosi in bellissime passeggiate.
La chiesa di Fontecolombo
Proprio la semplicità di questi posti, insieme a un clima non più freddissimo ma umido, mi hanno fatto venire voglia oggi di una bella minestra seria, qualcosa che rimandi alla nostra tradizione contadina, che sazi, che scaldi il cuore e il corpo, e che soprattutto allievi un pò questo raffreddore-bronchite che mi sta rompendo.

Fontecolombo, ingresso del santuario.
Fontecolombo, cappella della Maddalena.









E allora, ancora dal ricettario della mia famiglia, ecco un'ottima pasta e piselli, da mangiare con i quadrucci all'uovo, magari fatti a mano. Vi dico come prepararla:


Ingredienti x 4/6 persone:

250-350 gr. di quadrucci all'uovo (quantità standard che io aumenterei senza problemi...)
300-400 gr. di piselli (vanno benissimo surgelati, ma fra qualche tempo quelli freschi daranno un senso tutto nuovo alla minestra);
Battuto per soffritto;
2 cucchiai di passata di pomodoro;
1 dado;
sale e pepe.


Preparazione:

Innanzitutto iniziate con un bel soffritto saporito. Quando gli odori saranno coloriti ma non bruciati, aggiungete due cucchiai di passata di pomodoro, e fate insaporire nel soffritto.
Aggiungete ora due bicchieri di acqua bollente, il dado e una bella ed abbondante macinata di pepe fresco.
Dopo un paio di minuti aggiungete i piselli, e fateli ben insaporire ancora per un pò.
Aggiungete l'acqua calda, regolandovi nelle quantità con le persone, portate ad ebollizione, abbassate la fiamma e lasciate cuocere la minestra a fuoco medio-basso a lungo, finché i piselli non siano teneri e il brodo saporito, correggendo di sale se necessario.
Cuocete nella minestra i quadrucci e servitela bollentissima, aggiungendo a gusto altro pepe finale.

Ecco qua, un altro piatto semplice, ma che da gusto ad ogni pranzo e cena; e che, nonostante il freddo sembra essere andato, può ancora scaldare le nostre cucine, e profumare di primavera anticipata.
Buon appetito!

Il Tau nella cappella della Maddalena, disegnato, secondo la tradizione, da san Francesco


ps: Stavolta, anzicchè le foto della preparazione, vi ho postato alcuni scatti fatti in questi giorni a Fontecolombo. Spero vi piacciano! Se avete bisogno di altre informazioni sulla Valle Santa e sui santuari francescani di Rieti, contattatemi senza problemi!

giovedì 23 febbraio 2012

Peperoni ripieni


Dopo qualche giorno di silenzio (solitamente i silenzi corrispondono ad impegni o esami; stavolta erano esami...) eccomi di ritorno, con un'ispirazione presa direttamente oggi al supermercato. Non so voi, ma io non riesco a resistere quando vedo dei bei peperoni colorati, carnosi e regolari: la mente va automaticamente al peperone ripieno!
Io mangio poca verdura, ma mangerei peperoni sempre e ovunque; questa ricetta, insieme ai peperoni arrostiti conditi con olio, aglio e capperi, è la mia maniera preferita di cucinarli e, è naturale, di mangiarli! 
Anche in  questo caso attingo dal ricettario della memoria: è uno dei piatti di mia nonna che porto nel cuore, ed il solo annusare l'odore del pangrattato che cuoce nel cuore giallo o rosso di un peperone mi fa viaggiare nel tempo. La regina dei peperoni imbottiti resta mia zia Antonella, che ha ereditato la ricetta dalla madre, e devo dire, caso più unico che raro, non c'è differenza sostanziale fra l'antico sapore nonnesco e la riproduzione ziesca.
In più, sono felice di postare una ricetta vegetariana, come mi ha chiesto un mio follower di Twitter, @uno_in_ricerca, anche se lo dico e lo ribadisco qua: io sono un carnivoro, né pentito, né, dubito, convertibile!
Approfittiamo comunque di questa botta vegetariana, dedicata a @uno_in_ricerca, e vediamo come si preparano i peperoni ripieni, la mia cena di stasera:


Ingredienti per 4 persone:

4 peperoni grandi e colorati;
320 gr. di pangrattato;
2 spicchi d'aglio piccoli tritati;
250 gr. di olive nere di Gaeta;
un pugno di capperi sotto sale;
olio di semi, sale e pepe.


Preparazione:

Innanzitutto preparate i peperoni. Dovete comprarli i più regolari possibile, magari con un fondo piatto che permetta loro di rimanere bene in piedi nella teglia da forno. Sceglieteli ovviamente carnosi, non ammaccati, e di colore diversi per un miglior effetto finale.
Tagliate la parte superiore con il picciolo e tenetela da parte, puliteli delicatamente delle parti bianche interne, dei semi, sciacquateli bene e fateli scolare capovolti.
Snocciolate le olive (di Gaeta, mi raccomando, fanno assolutamente la differenza!) e tritatele grossolanamente; Sciacquate bene i capperi;
Unite l'aglio tritato, i capperi, le olive e il pangrattato, e aggiungete olio di semi, finché il composto non risulti morbido.
Mescolate bene il composto, salate e pepate, ed utilizzatelo per farcire ogni peperone per circa i 2/3 della loro grandezza (se fossero molto grandi potreste aver bisogno di più pangrattato. Aumentate le quantità in proporzione). Coprite ogni peperone con il proprio coperchio.
Poggiate i peperoni nella teglia, in piedi, condite ancora con un filo d'olio e salate leggermente.
Fate cuocere in forno ben caldo per il tempo necessario affinché i peperoni risultino morbidi e leggermente abbrustoliti.

Come vedete, come sempre, è una ricetta molto facile e molto veloce. E' un piatto senza stagione, soprattutto ora che la verdura non ha più un suo calendario specifico. Certo, banale dirlo, comprate sempre verdura di stagione, che appaga meglio naso e bocca.
Questo è un'ottimo piatto anche in estate, magari freddo, magari un'ottima idea per un picnic, e perché no? per il vostro ferragosto in spiaggia. Sì, lo so, con una digestione simile potreste fare il bagno dopo ore e ore, ma...chissenefrega! Scoprite quanto sono buoni sotto l'ombrellone. I vicini dapprima vi guarderanno con disprezzo, poi vi prenderanno in giro. Ma piano piano la curiosità, poi l'invidia striscerà sotto il loro ombrellone. E scoppieranno, quando scopriranno che da bravi romani, avrete portato in spiaggia anche il pollo coi peperoni...
Buon appetito!


ps: Avete visto il nuovo logo? E' bellissimo, creato apposta per il blog da fra Fabio, mio confratello, grande designer e blogger. Date un'occhiata: al suo Frateweb, seguitelo su Facebook  e su Twitter @frateweb. Non ve ne pentirete!


martedì 14 febbraio 2012

Le nostre origini: cosce di rane fritte

Spesso tra queste righe si parla di viaggi, più o meno lontani. Oggi voglio presentarvene uno vicino vicino, ma tanto essenziale e profondo da non lasciarci mai: il viaggio nelle nostre origini. Le nostre radici non ci abbandonano mai; possiamo distanziarle, fare uno scatto e sperare di averle seminate; ma poi ci giriamo ed eccole là, di fronte a noi. Perché loro sono noi; è quanto di più intimo e bello ci porteremo dietro sempre, ed anche quando possa sembrare che di bello e poetico ci sia poco e niente, a guardar bene scoviamo sempre qualche momento, qualche luogo, qualche profumo, qualche viso del nostro passato, che al ripensarci vengono le farfalle nello stomaco.
E così tutti possiamo attingere ad un pozzo inesauribile di tradizioni, siano esse storiche, fantastiche, e perché no, culinarie. Il patrimonio culinario di ogni terra è tanto personale quanto un vero patrimonio genetico: porta con sé il segno indelebile di quei luoghi, di quelle persone; ciò che hanno fatto, ciò per cui hanno lottato; ciò che li aiutati ad essere quel che sono. In molti dicono che il popolo ligure, come il sardo, sia un popolo chiuso, aspro. Mi è capitato di piantare patate nelle terrazze del savonese, e poi, ovviamente, di raccoglierle. Quando si passa la vita a strappare al dorso di una montagna la sussistenza, capita che il carattere indurisca; ho attraversato la Gallura in treno, in mezzo a pastori deleddiani che parlano dalla mattina alla sera con le loro pecore ed con il vento. E' quasi logico che finiscano col fidarsi più di loro che degli uomini.
Nettuno, Forte Sangallo e Borgo medievale dal mare
Tutti veniamo da qualche parte, e in cucina possiamo scoprirlo meglio. Io, per esempio, sono di Nettuno, ultimo comune a sud della provincia di Roma, solo 15 km da Latina, e di conseguenza ultima propaggine nord di quelle che furono le Paludi Pontine. Nettuno presenta un'anomalia culinaria importantissima: città di mare con pochissimo pesce, quasi sempre povero, all'interno dei suoi menù. E' la terra, contadina e di caccia che la fa da padrona a tavola; il pesce, quello buono, lo lasciamo alla vicina Anzio. E allora, ecco che scorrendo menù di antiche trattorie appaiono piccioni, quaglie, fagiani, abbacchio, insieme a cereali (Nettuno era definita nel Medioevo "il granaio del Lazio"), e ogni tanto, timidamente, il baccalà e le alici, unici testimoni del mar Tirreno. Menù di inizio secolo parlano anche di pasta  e ceci con le vongole.
Ma sopra ogni ricetta regnano le rane, piatto nettunese caratteristico, che ci ha meritato il soprannome di "ranocchiari".
Torre Astura, costruita su antiche peschiere romane
Un tempo le terre di Nettuno erano ricche di acquitrini, i canali ed il fiume Loricina ('o fiumitto) non erano inquinati, e le rane, estremamente sensibili all'inquinamento per la loro pelle sottilissima abbondavano ovunque. Era quasi scontato che diventassero piatto tradizionale!
Ingresso nord del Borgo 
Lo so che fanno impressione ai più, anche a me da piccolo facevano un pò senso, sopratutto quando le vedevo vendere in piazza del Mercato, infilzate in cannucce e messe dentro un secchio. Ma poi, al primo assaggio, si resta stupiti: vagamente somigliante al pollo, la carne di rana è molto più delicata nel sapore, e si dice sia estremamente nutriente. Se riuscirete ad assaggiarla, vedrete che vi resterà nella mente e nel cuore! Il problema oggi, paradossalmentte, è proprio trovare le rane: l'inquinamento le ha praticamente distrutte ovunque, e poi pescarle e...prepararle magari è per stomaci forti. Si possono trovare ai surgelati, valida alternativa, belle coscette già pronte, solo da cucinare.
Il Cacchione, vino nettunese Doc
Ci sono molte ricette per cucinare le cosce di rana, ho anche trovato un bel sito su cui ci sono idee (e dal quale ho preso le foto culinarie), ma io vi presento la ricetta tradizionale nettunese, le cosce di rana frittedorate, da mangiare caldissime magari con un bel bicchierozzo di vino Cacchione doc, altro orgoglio nettunese. Vediamo allora come è semplice prepararle:

Ingredienti:

circa 100/120 gr di cosce di rana a persona;
Uova;
Olio


Preparazione:

Ovviamente non dovrei neanche scriverla, è una classica "frittadorata".
Iniziamo comunque con lo sciacquare bene le cosce di rana sotto acqua fredda. Se le rane sono fresche (il gusto ovviamente ne guadagna), potete lasciarle a mollo nell'acqua fredda per 2/3 ore, finché la carne non sia sbiancata. Terminato il lavaggio asciugatele benissimo con carta da cucina.
Sbattete in una terrina le uova con una forchetta e salate.
Immergete le cosce di rana prima nell''uovo sbattuto e poi nella farina, e dopo aver levato la farina in eccesso friggete in olio bollente fino alla doratura.
Salate e mangiate caldissime.

Il piatto è pronto, tutto qua! Servendolo con della valeriana appena condita con olio leggero, sarete sicuri che nessun sapore nasconderà la delicatezza della carne di rana.
Un piatto semplice, gustoso, sfizioso, che riporta ai tempi di un'Italia contadina, dove la spesa si faceva pe campi e stagni.

Buon appetito!


ps: Se passate per Nettuno, non vi dimenticate di cercare il Paw Paw, raggae club bellissimo all'interno del Borgo medievale. Ah, sì, Diego, il proprietario, è mio fratello...


Tramonto sul porto turistico

Via Stefano Porcari, nel Borgo.
Il lampione giallo in fondo è l'ingresso del Paw Paw

Le foto di Nettuno sono prese dal sito della Pro Loco

giovedì 9 febbraio 2012

Enchiladas

Come anticipato, la cena di ieri sera è stata in stile messicano. Beh, non c'erano sombrero e quant'altro, ma sulla tavola, a farla da padrone, c'erano le enchiladas, uno dei miei piatti preferiti! Le preparo raramente, perché richiedono un pò di tempo, e il tempo non c'è mai, ma l'occasione di ieri meritava: il compleanno di fra Alberto! C'è l'usanza, fra di noi, che il festeggiato possa ordinare qualcosa di speciale per cena, e Alberto, su mio suggerimento, ha espresso il suo desiderio: Enchiladas. E messicano fu. Sembra un procedimento complesso, ma in realtà è solo un pò lunghetto: le enchiladas sono dei veri e propri cannelloni, ottenuti con delle tortillas di frumento, o meglio ancora di mais, riempite in questo caso con chili, e coperte di salsa, cipolle ad anelli e formaggio. Io non le faccio mai piccanti, mi limito al mix di spezie che solitamente è appena piccante, ma è chiaro che potete aggiungere peperoncino, tabasco, e altre salse messicane, come volete.
Vediamo piano piano come fare, partendo dagli ingredienti:



Ingredienti per 4/6 persone:

12 tortillas, meglio se di mais;
1 kg di carne macinata, anche mista vitello/maiale;
4 bustine di spezie per chili (1/2 la userete per la salsa topping);
2 cipolle medie;
2 spicchi d'aglio;
2 barattoli di fagioli borlotti;
2 barattoli di salsa di pomodoro;
120 gr. di formaggio filante.



Preparazione:

Iniziate col tritare una cipolla e l'aglio, e fate soffriggere il trito in poco olio, aggiungendo una delle bustine di spezie;




Quando il soffritto sarà fatto, aggiungete la carne, e cuocetela a fuoco vivo finché non sia asciugata l'acqua di cottura. Intanto mescolate e sciogliete in 300 ml di acqua calda altre due bustine e mezzo di spezie.



Quando l'acqua della carne si sarà asciugata, e il macinato sarà ben colorato, aggiungete le spezie sciolte nell'acqua, mescolate molto bene per far insaporire, e cuocete mescolando per 10 minuti.



A questo punto aggiungere i fagioli scolati, e dopo un paio di minuti un barattolo di salsa di pomodoro.



La preparazione del ripieno è pronta dopo circa 10 minuti di cottura del pomodoro.



Per il topping, in un pentolino soffriggete di nuovo un trito di poca cipolla ed aglio, aggiungete la salsa di pomodoro avanzata e le spezie rimaste. Fate cuocere brevemente, e addensate lievemente con pochissima farina.
Prima di comporre le enchiladas, affettate la rimanente cipolla ad anelli e grattugiate il formaggio con una grattugia a fori larghi (per comodità io tengo il pezzo di formaggio per mezz'ora nel freezer, si grattugia meglio). Ottimo e ideale è il formaggio ceddar, ma io uso quello che trovo, per esempio l'emmenthal. Alcune ricette originali messicane prevedono il formaggio di capra.
Mettete sul fondo della teglia da forno un pò di salsa per non far attaccare le enchiladas.
Aprite le confezioni di tortillas, e separatele una dall'altra; spesso per l'umidità tendono ad incollarsi; fate tutto delicatamente perché non si formino buchi. 
Scaldate le tortillas velocemente, una decina di secondi al microonde, un minuto in forno tradizionale a temperatura media, poi iniziate a comporre l'enchiladas, mettendo al centro di ogni tortilla riscaldata un paio di cucchiai di chili, e arrotolandola bene.



Disponete la tortilla arrotolata nella teglia da forno, e continuate finchè non abbiate finito tutte le tortillas. 



A questo punto versate la salsa topping sulle tortillas, disponete sopra gli anelli di cipolla e il formaggio grattugiato.


Infornate a temperatura alta. Le enchiladas saranno pronte quando il formaggio sarà fuso e inizierà a fare "bolle".

Le enchiladas sono pronte!

La vostra cena messicana così sarà ad un ottimo punto. Potete servire come antipasto delle tortilla chips da mangiare con la salsa guacamole e un'altra salsa fatta di pomodori tagliati a dadini, a cui aggiungerete cipolla tritata, uno o due spicchi di aglio schiacciato, peperoncini jalapenos a fette (li trovate ormai, in lattina, in moltissimi supermercati) e salsa habanero o tabasco. Potete servire anche del riso messicano bianco. Beveteci sopra Stawberry Margarita per una vera cena messicana, aiuterà a spegnere i sapori piccanti!

Sia le enchiladas che il chili, se avanzassero, possono essere tranquillamente congelati, ma per un'idea sfiziosa in più, nel caso vi fosse avanzato del chili (o magari fatene di più apposta), fate così:
distribuitelo, mischiando ad esso jalapenos a cubetti, in ciotoline di coccio, che potrete poi portare direttamente in tavola; guarnite con formaggio filante grattuggiato e gratinate in forno, servendo velocemente quando il formaggio avrà fatto la crosticina.  Può essere un altro antipasto, o un ottimo complemento di cena.

Ecco qua, la vostra seratina messicana è pronta. Potete anche servire tutto in piatti molto larghi, in cui comporrete le enchiladas, un pò di guacamole e dadolata di pomodori, riso bianco e strisce di lattuga. Il successo è assicurato!
Cafe Coyote, Old San Diego, Ca.
Poi, se siete così fortunati di passare dalle parti di San Diego, nella Old Town potrete mangiare una cucina messicana eccellente al Cafe Coyote, uno dei migliori ristoranti messicani dove sia mai stato! Era il 2003, solita vacanza con i miei zii e mio fratello Diego. Una delle più belle serate della mia vita, forse anche per i diversi Strawberry margaritas con cui cercavamo di spegnere il piccante... Da provare!


Noi al Cafe Coyote, maggio 2003. Da notare gli strawberry Margaritas...